Ognuno di noi ha vissuto un dolore così profondo da non poter essere spiegato. Un dolore che ha tolto ogni senso alla nostra esistenza, sprofondandola in un abisso di vuoto.
Non ha importanza in quale tempo o in quale spazio è successo. Sappiamo solo che è successo e solo il lontano ricordo di quell’esperienza fa salire muri invalicabili di difesa. Spesso non ne capiamo neanche l’origine. Ne sentiamo la puzza in lontananza e, come animali, reagiamo per impedire che si riproponga.
Poi, la vita, più o meno palesemente, ci ripropone quello spazio, in misura proporzionale alla minuscola, infinitesimale fessura che nel corso di molte esistenze, si è creata.
Smarrimento, disorientamento di fronte a difese che non reggono più come prima. A schemi che barcollano, a lacrime che salgono per motivi che non le giustificano.
E quel dolore, che è lì, ti dice guardami.
È ora di fare pace, di lasciarmi andare, di trovare un senso alla mia presenza. E di liberare entrambi da tutto ciò che ci trattiene da qualcosa che ognuno di noi si guarda bene dal contattare.
La paura
La paura che fa da anticamera al dolore non la riusciamo a guardare bene in faccia. Meglio ancora, la guardiamo e la trucchiamo, sentendoci più grandi di lei e capaci di tenerla a bada con quei finti razionalismi che ammantano tutto di spiegazioni.
La paura è sana, un meccanismo che ci impedisce di rientrare a piedi pari in quel pantano di dolore. Eppure, si dice, che ciò che desideriamo è dall’altra parte della paura. Non potrebbe essere altrimenti a questo punto.
Ho visto Everything, everywhere all at once. Un film visionario, senza senso nel suo approccio al multiverso. Una grande scusa per mostrarci il tentativo quotidiano di stare fuori da noi e da questo buco nero che tenta di inghiottirci ogni volta che ci sporgiamo dal suo bordo per cercare quella luce. E spesso, ci riesce.
Fitti rovi lo circondano e da tempo evitiamo di andarci. Il film ci ricorda che quel buco ci viene incontro. Temiamo quel momento, ma alla fine, il disperdersi dentro quel mare di dolore ha un effetto balsamico. Ci asciuga dalle lacrime trattenute e ci dissolve in un profondo senso di necessaria inutilità che crea spazio per altro.
Poi, come nel film, ci accorgiamo che c’è uno spazio dove tutto questo può essere accolto, dove si può smettere di combattere e semplicemente arrendersi al fatto che è così.
Prendiamo atto che non possiamo negare ciò che ci ha causato dolore.
Sentiamo che la profonda accettazione delle leggi dell’Universo in cui viviamo, garantisce uno spazio di comprensione che ci sostiene anche quando rifiutiamo le leggi che abbiamo scelto venendo proprio qui. E, soprattutto, ci dà la possibilità di vivere ciò che allontaniamo per non soffrire più.
Ancora una volta è lo spazio del Cuore, l’unico in grado di contenere tutto questo.
Il cuore
Stare fuori dal Cuore crea un ossimoro, un loop che ci sprofonda nel buco. Separandoci da ciò che ci permette di sostenere il buco stesso.
Tutto questo, tra temporali e lacrime, mi ha connesso con la profondità dell’Amore e dell’Accoglienza, con la difficoltà di lasciarsi andare a ciò che ci scaglia verso la consapevolezza della fine, della perdita e del distacco.
Affrontare tutto con raziocinio e logica è un tentativo per non accettare e vedere la legge del caos creativo che orienta la Vita, seppure nel senso più alto del suo movimento. E, alla fine, si riesce solo a trattenere e implodere la rabbia verso uno spazio che segue le sue logiche. E non tiene conto di piccoli e fragili cuori che molto spesso queste logiche non le sostengono.
Ho percepito un profondo senso di smarrimento e di speranza nell’incontro tra fragilità che cercano sicurezze e mi sono commossa al pensiero della possibilità di riuscire. Aldilà dell’effettivo risultato.
E poi ho pensato alla bellezza del mondo animale e di madre Natura. Allo stato di presenza che continuamente ci comunica, alla semplicità di fiori che sbocciano e poi muoiono regalando bellezza, stupore e altro da sé.
Niente è importante.
Niente è importante, dice la protagonista.
Niente lo è perché sempre tutto lo è quando riusciamo a non anteporlo alla verità dell’esistenza, al suo naturale fluire verso ciò che È e verso cui naturalmente andremo.
Ho lasciato che scorressero le lacrime del senso di impotenza e le ho mischiate alla gioia del poter sentire la connessione a un Amore così puro e libero. Ho sentito il dolore del distacco, ma non per questo ho potuto negare la gioia di uno sguardo d’amore così onesto e sincero. E ho contattato la paura che alberga in un Cuore vergine, che desidera un mondo di Gioia e di Felicità per ognuno.
Il Cuore di una bambina che vuole solo Amore.

Ti prendo per mano piccola e ti prometto che farò del mio meglio per farti stare in questo Spazio.
Mi occuperò io, per te, delle nuvole che solcheranno a volte questo cielo, e del buio che a volte oscurerà il Sole. Il mio abbraccio sarà caldo e accogliente, forte e protettivo, e darà spazio al dolore per liberarlo e farne concime per nuovi fiori.
E il tuo sorriso tornerà a splendere per generare nuovi spazi d’Amore e Bellezza.