La selva oscura e le ferite emotive

Ferite emotive

La selva oscura e le ferite emotive

“Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura
chè la diritta via era smarrita.

Tant’è amara che poco è più morte;
ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai,
dirò de l’altre cose ch’i’ v’ho scorte.”

Inferno, I Canto

Bene, partiamo dalla fine ed entriamo in questa selva oscura.

Da questa frase che descrive in pochissime parole il significato di “integrazione” . Dice Dante: “MA”, per trattare del bene che vi ho trovato, devo parlare delle altre cose che ho visto.

Il post potrebbe finire qui in quest’associazione istintiva tra la selva oscura e le ferite emotive.
Serve altro, oltre la parola di un poema che attraversa i secoli descrivendo il viaggio che ognuno di noi deve fare, per capire che se non metti le mani in mezzo a questo disagio, dolore, sgomento, sofferenza, paura, non ne potrai mai cavare il prezioso diamante che contiene?

Non è più il tempo del compatimento, del vittimismo, dell’uso indiscriminato di oppiacei sociali, personali e relazionali.

Ogni movimento in questa direzione di annebbiamento e rifiuto, ti allontana sempre più dal tuo diamante. E se vedessi quanto cresce la distanza tra te e il tuo vero Sé, ogni volta che scegli di voltarti dall’altra parte, saresti atterrita e motivata all’azione.

Immagino che si stiano creando due categorie di esseri umani. Chi combatte e chi si arrende. Nell’esercizio del libero arbitrio ognuno può decidere ciò che vuole, ma non così tanto se consideriamo che il contributo personale è il contributo all’Anima collettiva che ci sostiene nel cammino, perché le nostre scelte non si esauriscono nella nostra vita.

Io combatto, e spesso perdo. Ma anche vinco. E procedo cercando il mio diamante muovendomi continuamente tra la selva oscura e le ferite emotive.

Il dono della selva oscura

Quest’ultime sono un campo di battaglia meraviglioso. Offrono continuamente occasioni per riconoscere, comprendere, integrare, elaborare, metabolizzare. In un processo che, volenti o nolenti, attraversiamo in quanto condizione della vita stessa.

Trasformazione e cambiamento perché questa è la vita.La stagnazione è la morte. E far finta che non sia così vuol solo dire incontrare montagne di letame ancora più alte. Certo, il letame è concime e aiuterà la crescita, a prescindere dalla nostra volontà.

Ma coltivando quei semi, che abbiamo deciso di portare sulla Terra, con Amore e Responsabilità, possiamo contribuire ad un nuovo Giardino dell’Eden.

Dentro e fuori di noi, agiti da quell’aspirazione alla Bellezza e all’Armonia che è il fine ultimo di ogni essere umano.

Stefania Paradiso

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