UN PASSAGGIO DI COSCIENZA IN UNA FESTA
Sono rimasta stupefatta quando ho capito il passaggio di coscienza avuto durante la festa di sabato sera. Un vero e proprio messaggio metafisico! Eppure lo so che funziona così. Lo so che le consapevolezze arrivano nei modi più disparati.
Mi sono chiesta allora come poter trasferire ciò che ho provato nell’accedere a questa Verità e ho pensato che era importante spiegare il processo che può avvenire ovunque.
Durante una festa, un incontro, un pranzo, una telefonata, uno sguardo.
Tutto ci parla. Tutto ci insegna. Tutto ci guida.
È fondamentale vedere. Ma per vedere bisogna prima osservare e poi unire i pezzi del puzzle, avendo per riferimento un’immagine finale, che è ben chiara dentro di noi.
Che è scritta da sempre nel nostro tema natale di nascita e aspetta solo di essere svelata. Aldilà di quello che poi possiamo capire, c’è un pezzo di noi che sa esattamente cosa siamo venuti a fare e cosa, in funzione di ciò, possiamo diventare.
C’è una parte di noi che tiene questa immagine ben dritta davanti al nostro occhio interiore. Una potente carota che ci porta in quella direzione. Tra la carota e il nostro sguardo veli e veli da sollevare, togliere per vedere sempre più in profondità e dare origine a questi passaggi di coscienza.
Una vera caccia al tesoro, dove il tesoro siamo noi.
L’antefatto
Erano due anni che volevo organizzare questa festa anni settanta. Da quando la mia vita ha preso un’altra direzione, stimolante e coinvolgente, impegnativa e responsabilizzante. Una direzione sana per me.
Ma avevo bisogno di fare esperienza di questa nuova strada ed arrivare a sabato con una diversa coscienza. E vi racconto com’è andata perché un esempio pratico parla molto di più di mille teorie.
Nel 2013 la mia vita è crollata come una perfetta Maison Dieu al contrario.
Tutto si è ribaltato su di sé, e su di me, lasciandomi in un profondo stato di frustrazione e immersa in un mare di rabbia e dolore.
Ero stata una perfetta Wonder Woman fino a poco tempo prima.
Anni passati a dimostrare capacità, talenti, superiorità, intelligenza e bellezza, alzando continuamente l’asticella. Anni, decenni, passati a cercare uno sguardo che mi riconoscesse e che non mi vedeva mai. Non è facile accorgersi delle spire di dolore che ci avvolgono con il passare dei giorni. E i meccanismi di difesa che sviluppiamo, doverosi e indispensabili, ci chiudono in morse che diventano gabbie dorate.
La gabbia dorata
Almeno, lì dentro, il male che sentiamo lo conosciamo. E pian piano ci abituiamo. Ma chi si abitua non è la nostra parte indomita, la nostra Anima. Quella che ci ha accompagnato quaggiù confidando nella nostra capacità di uscire da quelle spire, grazie alle sollecitazioni che continuamente ci dona.
La collaborazione tra il nostro essere incarnato e lo spirito non si ferma mai, anche se in apparenza può sembrare così.
Tutto questo processo richiede il suo tempo. Un tempo che può essere molto lungo rispetto alla nostra limitata coscienza. Per l’anima è solo il tempo necessario perché la gestazione di altre parti di noi vedano la luce. Ed ogni parte che nasce giustifica pienamente il tempo che c’è voluto.
La mia Wonder Woman, come un’addormentata nel bosco del proprio inconscio, si è spenta in un sonno profondo e senza sogni. Un sonno ristoratore, che al momento era solo una sensazione di morte.
L’attesa
Dal 2013 sono passati 6 anni, di sonno interrotto da aneliti di libertà racchiusi nei percorsi di crescita personale che non mancavano mai.
A volte fatti per il solo bisogno di trovare una via, spesso portatori di piccole stille di consapevolezza, altre volte tristi e deludenti.
Un puzzle che si formava molto lentamente dentro di me. Partendo dai pezzi più facili e toccando, di volta in volta, aree più complicate che di frequente mettevo da parte.
E poi aiuti che mi arrivavano da ogni dove e di ogni genere. Angeli che sotto mentite spoglie, mi tenevano per mano, mentre camminavo nel mio Inferno personale. Angeli e aiuti che riconoscevo con immensa difficoltà. Convinta di un’indegnità di fondo che mi faceva sentire un impostore.
Una che si era spacciata per Wonder Woman semplicemente indossando una maschera per celare una donna incapace, egoista, approfittatrice e quindi, giustamente, punita dalla vita.
L’Amore era ovunque intorno a me e nella Natura trovavo momenti di ristoro e sensazioni di pace. La tentazione di rifugiarmi in quelle braccia amorevoli e di rimanere per sempre lì, evitando il contatto con la Vita, era così forte che continuava a tenermi dentro quel sonno.
Che mi separava e, allo stesso tempo, mi riportava a me.
Sei anni di lungo sonno.
Il principe azzurro è arrivato anche per me. Sotto forma di un ufficiale giudiziario.
Il suo bacio mi ha scaraventato sei anni indietro. Mi sono svegliata, come se quel sonno non fosse mai esistito, ritrovandomi immersa interamente nella melma che avevo lasciato lì quando avevo deciso di addormentarmi. La prima sensazione è stata di puro panico.
Trascuravo però un fattore importante. In quei sei anni di sonno qualcosa dentro di me era cambiato. Quel sonno aveva dato il tempo alle mie parti più sane e sagge di farsi spazio tra mille paure, difficoltà e credenze.
In un periodo in cui non avevo più nulla da perdere, il processo di disidentificazione dalle mie maschere di potere e invincibilità aveva fatto il suo corso. E accanto ad esse ora c’erano quelle della fragilità, dell’empatia, della compassione e del limite. Dietro Wonder Woman erano emerse la donna e la bambina. E si tenevano per mano.
Ora avevo un cast di attori dentro di me molto più nutrito ed equilibrato. Ed erano tutti pronti a salire sul palco della vita, guidati da un regista che ben educato dalla mia Anima, riusciva a dirigere il gioco delle parti mettendo in scena un copione più ampio e stimolante.
La resa dei conti
Ovviamente il ritorno al castello, accompagnata dal principe azzurro, non poteva che farmi incontrare una matrigna violenta e pronta a vendicarsi.
Come osavo interrompere il loop di secoli di comportamenti stereotipati intorno all’idea di una vita che è solo dolore e sacrificio? Come osavo pensare che la Vita potesse essere Gioia? Ci avevo provato e avevo fallito. E questa era l’unica fine che io potessi fare. Fallire miseramente sotto questa utopia.
La matriarca dentro di me, non mi lasciava scampo ben incarnata da un modello materno che avevo scelto perfettamente per ricordarmi l’anatema familiare.
Aver interrotto quel sonno voleva dire darsi una possibilità di uscire dalla stagnazione e dal loop di secoli di comportamenti stereotipati dall’idea di non poter uscire dalla ruota degli eventi.
Così fan tutti. E così farai anche tu.
E la genealogia chiede di pagare un prezzo alla libertà, all’uscita dagli schemi ricorrenti.
Quel prezzo si chiama morte.
Morire allo schema dentro di noi. Schema che ci definisce e ci limita in un personaggio che risponde perfettamente alla richiesta di coerenza e stabilità dell’albero genealogico che ci siamo scelti nascendo. Uno schema che semplicemente ripete, in un loop senza fine, gli stessi problemi con le stesse dinamiche bloccanti, in una spirale di dolore, rabbia e paura che si alimenta senza fine.
La sera del ritorno al castello, la mia matrigna interiore mi si è parata davanti nella forma della mia, al tempo, odiata madre. E tutto quello che è successo nei minuti successivi mi ha portato a vedere la morte in faccia. Dovevo scegliere cosa essere.
Volevo essere la prova vivente dello schema non modificabile del dolore e del sacrificio? Oppure la possibilità di un’altra vita, senza nessuna idea di cosa fosse?
Un vuoto si spalancava davanti a me. Senza nessuna possibilità di controllo o di gestione. Tutto quello che ero, se avessi scelto il distacco dall’albero, si sarebbe frantumato e mi sarei trovata sospesa in quel vuoto spaventoso.
Ma quel vuoto aveva un sapore di libertà che una parte di me sentiva. E ho deciso di morire a quella che ero prendendo una strada nuova. Che aveva il nome della Caritas.
Un buco nero
Dicono che il buco nero ci porti in un altro luogo e in un altro tempo. Se si riesce a sostenere l’immensa pressione che il passaggio dentro di esso genera.
Chiaramente nessuno può dirci razionalmente se siamo pronti a passarci dentro. E infatti non lo scegliamo. Si crea una forza di attrazione gravitazionale che ci porta lì dentro, perché siamo pronti a provarci. Cosa succederà quando siamo lì dentro non possiamo saperlo. Ed è per questo che dobbiamo prepararci a farlo.
Lavorare con fiducia nel processo confidando nell’Amore che ci guida verso parti integrate di noi. Lavorare sapendo che al momento opportuno ciò che abbiamo acquisito verrà messo in gioco. Muovendoci in un atteggiamento proattivo che è la prova della fiducia che abbiamo nella scelta fatta di incarnarci.
Quando sono entrata nel buco nero ho deciso di lasciarmi andare a ciò che stava succedendo. Mi arrendevo al processo. Mi arrendevo alla vita.
Sia fatta la tua volontà, ho detto. Sia fatta la tua volontà. E mi sono addormentata non conoscendo il mio domani, ma solo il suo nome.
L’altra parte
Mi sono svegliata altrove. Tutto era cambiato, trasformato, sciolto dall’incantesimo.
C’erano delle braccia che mi accoglievano nella mia fragilità, orizzonti che si aprivano inaspettati, opportunità che si creavano dinanzi a me come per magia. E c’era tutto quel nuovo che pian piano occupava il vuoto a cui provare, lentamente, a dare un altro nome. Un altro volto dopo quello della morte che all’inizio mi si era parato davanti.
Si condensavano cose, persone, sensazioni, scelte. Una dopo l’altra. Messaggi dall’inconscio che si inanellavano con una chiarezza impressionante. Direzioni che si aprivano.
E sia fatta la tua volontà echeggiava dentro di me, facendomi sentire la resa della mia debordante personalità al progetto dell’Anima.
È arrivato un luogo incantato che mi ha chiesto di creare uno spazio di accoglienza e condivisione. E l’ho fatto. È arrivata una scelta di servizio che mi ha chiesto di fidarmi del sostegno dedicandomi agli altri. E l’ho fatto. È arrivata la gioia di coltivare la relazione con gli altri in un momento in cui tutto chiedeva di ritirarsi in solitudine. E l’ho fatto.
Sia fatta la tua volontà. Questo è ora il mio segnale stradale.
La festa

La festa è stata bellissima. Volevo creare uno spazio di comunione, divertimento, gioia, allegria, ironia, leggerezza.
Ho dedicato una settimana ai preparativi, ho scelto lo spazio, l’arredo, gli strumenti, il vestito.
Era una celebrazione per me.
Sentivo che c’era qualcosa di importante da festeggiare.
Mi hanno chiamato Wonder Woman per tutta la festa.
Mi faceva sorridere. Non mi sentivo Wonder Woman. Volevo solo essere un po’ hippy, ma il caso, che caso non è, mi ha fatto vestire così.
Poi ho realizzato il video della festa e ho inserito un piccolo pezzo del trailer della Febbre del Sabato sera, che era il titolo della festa. Grande è stato il mio stupore quando in un fotogramma ho visto proprio lei. Wonder Woman affiancare un John Travolta che mostra i suoi muscoli allo specchio.
Ero proprio io in quella immagine! Quella che aveva tirato fuori il maschio aggressivo e sfacciato distorcendo la parte più sana della Wonder Woman dentro di me.
Che tenerezza ho provato a pensare a quanta fatica quella parte di me ha fatto per mostrare di essere forte, più forte di quella che era. Quanto dolore ha incamerato per non accettare il movimento della vita e le ferite indispensabili alla sua crescita. Quanto Amore ha dimenticato per la paura di non poter essere amata.
E in una bellissima sera di Settembre è tornata a me. Con una mossa metafisica di prima classe, mi ha ricordata che posso riprendermi quella Wonder Woman senza più paura. Ora non deve più dimostrare niente a nessuno.
Deve solo essere magnificamente se stessa.
Ndr: Metafisica
Presupposto della metafisica è la ricerca sui limiti e sulle possibilità di un sapere che non può derivare in modo diretto dall’esperienza sensibile. I cinque sensi, infatti, si limitano a recepire passivamente le impressioni derivanti dai fenomeni naturali entro una gamma ristretta di percezioni, e quindi non sono in grado di fornire una legge capace di descriverli, non sono in grado cioè di coglierne l’essenza.
Scopo della metafisica, in questo senso, è il tentativo di trovare e spiegare la struttura universale e oggettiva che si ipotizza nascosta dietro l’apparenza dei fenomeni. Sorge pertanto l’interrogativo se una tale struttura, oltre a determinare la realtà, sia in grado di determinare il nostro stesso modo di conoscere, attraverso idee e concetti che trovano corrispondenza nella realtà.